Iperlessia: un disturbo dell’apprendimento?
I disturbi dell’apprendimento sono tanti.
A prescindere dalle classificazioni e dalle “tendenze” del momento, sono tanti quanti sono i bambini che li manifestano.
E’ chiaro che i quadri clinici, permettendo una categorizzazione, costituiscono la mappa per identificarli, ma il territorio è vasto e l’approccio sempre più di tipo esplorativo.
L’apprendimento, di per sé, è un processo molto complesso in cui entrano in gioco diversi fattori neurobiologici, cognitivi, relazionali, culturali.
La variabilità dei processi di apprendimento aumenta e si configura come novità nei casi in cui si riscontra una difficoltà o una differenza dalla norma dell’apprendere.
I diversi quadri clinici vanno da un più o meno lieve rallentamento nei tempi di acquisizione, ad una difficoltà nelle abilità scolastiche (dislessia, discalculia…), a gravi deficit che riguardano l’organizzazione cognitiva, a disturbi neurologici (epilessie, encefalopatie…) o psicopatologici (disabilità intellettive, disturbi psicotici, disturbi depressivi, disturbi d’ansia…) che compromettono il processo di apprendimento.
Un ulteriore, apparentemente anomalo, quadro clinico che potrebbe rientrare nei disturbi dell’apprendimento è rappresentato da un alto livello di funzionamento dell’abilità di lettura denominato iperlessia.
I bambini che presentano iperlessia iniziano a leggere fluentemente molto precocemente, pur non essendo stati stimolati in modo sistematico a farlo.
Il livello di comprensione, tuttavia, non va di pari passo con l’abilità di lettura conseguita, ma segue i processi maturativi legati alla fase di sviluppo.
Sono bambini che leggono frequentemente e ad alta voce ma non riescono a comprendere quello che leggono.
Manifestano, nella maggior parte dei casi, un interesse compulsivo ed esclusivo riguardo tutto ciò che è possibile leggere.
I bambini (ma anche gli adulti con iperlessia) leggono qualsiasi cosa arrivi alla loro attenzione in maniera, si potrebbe dire, automatica mostrando, in tal senso, abilità eccezionali e superiori alla media.
Attirati dalle lettere e dalle parole (anche molto complesse) rivelano una precoce attitudine al riconoscimento visivo di quanto è scritto senza, però, avere accesso al suo significato. Parrebbe esserci una sorta di apprendimento associativo che prenderebbe il sopravvento su altri apprendimenti paralleli che non vengono sviluppati contemporaneamente.
Studi clinici sull’iperlessia, a partire dagli anni ’80, confermano una costante associazione tra questa eccezionale abilità di lettura e una persistente difficoltà nella comprensione di quanto letto.
Lo sviluppo di abilità neuropsicologiche come la capacità visiva, la capacità percettiva, la memoria a breve termine, non corrisponde ad un altrettanto sviluppo del livello cognitivo.
L’iperlessia negli ultimi anni inizia a diventare oggetto di studio e di ricerca e si presenta associata ad altri disturbi del neurosviluppo quali disabilità intellettive, disturbo dello spettro dell’autismo, disturbo specifico dell’apprendimento.
Una più recente (2017) revisione sistematica dei casi e degli studi di gruppo su bambini e adulti con iperlessia ne attesta un’alta prevalenza (84%) nel disturbo dello spettro dell’autismo. Trattandosi di una straordinaria capacità potrebbe essere direzionata in modo funzionale per diventare opportunità di crescita e di sviluppo.
Il rischio, in generale, di fronte a questa situazione, è quello di aspettarsi risposte da apprendimenti in realtà non ancora avvenuti, di chiedere ai bambini più di quello che sono in grado di dare, di attribuire competenze precoci ad eccessi di performance, di focalizzarsi sull’abilità anziché sul bambino che la manifesta.
E’ necessario, quindi, avvicinarsi al bambino, alle sue emozioni, al suo sentire, alle sue relazioni, al suo percepire la difficoltà e quale difficoltà, avvicinarsi al suo tempo.
Sento di aggiungere che, nel momento in cui sto riformulando questo mio articolo (siamo ad Aprile 2020), stiamo vivendo tutti un tempo nuovo. Siamo in piena pandemia Covid-19. Le opportune restrizioni governative, con la conseguente chiusura degli istituti scolastici e delle attività lavorative, portano molti bambini e ragazzi a passare il loro tempo di apprendimento a casa, in famiglia, con i loro genitori.
E’ un tempo in cui i genitori hanno l’occasione di osservare di più, forse con più attenzione, i propri figli, di scoprire e stimolare anche le abilità che sono state finora giustamente delegate alla scuola.
Sono tanti i genitori che notano e segnalano già nei loro figli un’involuzione nel linguaggio, nella lettura, nella capacità di esposizione. I disturbi dell’apprendimento, quindi, aumenteranno? Cambieranno nel tempo?
C’è da considerare la possibilità che nuove attivazioni cerebrali stiano verificandosi in questo periodo in ognuno di noi, che nuovi processi cognitivi siano in atto, che nuovi meccanismi ricettivi ed esecutivi rimpiazzino o amplino i precedenti.
L’iperconnessione “obbligata” e le restrizioni ambientali e relazionali subite, di certo, porteranno cambiamenti.
Alcuni saranno vantaggiosi, altri necessiteranno di interventi di tipo abilitativo, didattico, di sostegno che avremo modo di sperimentare in un tempo mutato e in condizioni, per tutti, diverse.